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LE BELVE
(SAVAGES)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 29 ottobre 2012
 
di Oliver Stone, con Blake Lively, Taylor Kitsch, Aaron Taylor-Johnson, Salma Hayek, Benicio del Toro, John Travolta (Stati Uniti, 2012)
 
Un film che vuole e non vuole, che vorrebbe essere ma fatica ad esserlo. Oliver Stone non è nuovo a questo genere di contraddizioni, e questo suo ultimo Savages le riflette tutte. Sono quelle di una lunga carriera in questo senso flagrante: grande talento verista nei suoi momenti migliori (PLATOON, JFK, NIXON), tendenzialmente portato a sfondare porte aperte quando fustiga (certo, utilmente) i vari poteri storici, economici e soprattutto finanziari, cineasta politico che disturba il moralismo americano e incide nelle contraddizioni e gli intrighi del potere (JFK o NIXON), grandiloquente e impacciato quando si misura allo psicologismo mistico (NATO IL 4 DI LUGLIO, ASSASSINI NATI, THE DOORS). Oliver Stone è insomma il grande verista che filma molto meglio la realtà di PLATOON piuttosto della leggenda nella quale John Ford esortava di rifugiarsi in caso di dubbio...

Ispirato da un libro di Don Winslow, questa sua ennesima voglia encomiabile, denunciare la violenza “selvaggia” delle guerre fra i cartelli del narcotraffico a cavallo fra Messico e Stati Uniti, su quel genere di alti e bassi (più sui secondi, a dire il vero) si costruisce allegramente. C'è il trio giovanilistico sesso, droga e pistolettate composto dalla bionda Ofelia (siamo o non siamo dalle parti di Shakespeare?) che li vuole ambedue, il virilone tatuato Afghanistan e il botanico pacifista e zen: tutto va per il meglio sotto il sole della California, se non fosse che i loro successi nella fabbricazione di marijuana finiscono per indispettire (eufemismo) i pescecani cattivissimi dei cartelli messicani. Governati, con ben altro che da un pugno di ferro, dall'efferata e gustosamente spergiurante Salma Hayek (uno dei suoi ruoli migliori) e dal tremendo decapitatore Benicio del Toro. Saranno proprio loro, assieme al gustoso John Travolta che impersona con la consueta finezza un agente doppiogiochista della squadra antidroga, a condensare il lato migliore del film: quella autoironia che avrebbe irrobustito una faccenda che ristagna invece dalle parti inespressive del mèlo fra i tre giovani piuttosto che a decidersi per quelle alla Tarantino.

Oliver Stone, ci mancherebbe, alimenta il tutto con le sue tentazioni al noir di cattivo gusto, con la ben nota energia registica, con il ritmo, gli stacchi, la luce, il taglio delle immagini, tutto brillantemente da serie televisiva. E' la sceneggiatura ad essere piuttosto convenzionale (ma allora, perché non parodistica?) nella sua pretesa di denuncia socio-politica (il Messico e la droga, ma la connivenza degli Stati Uniti con i loro mercanti d'armi)), il suo procedere alternante, il ricorso quasi programmato ad una violenza estrema quanto non proprio sorprendente. Fino a un bel doppio, finalmente curioso finale, pure quello messo li quasi apposta a sottolineare la duplicità del cinema di Stone: da una parte l'happy end che si aspetta il pubblico ed il box-office, dall'altro quello più grottesco, crudele ed eventualmente poetico per piacere ai cinefili. Ma, almeno questo, non aspettatevi che ve lo riveli.


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